Cultura : è l’ora di osare. Le opinioni di una “foresta”

15 aprile 2014
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Ne ho viste di città e non ho mai amato quelle che non fossero grandi, smisuratamente grandi. Ma quando sette anni fa misi piede a Savona, forse perché c’era il sole, forse perché avevo bisogno di respirare in uno spazio più ristretto, presi il cellulare e chiamai mia madre. «Mamma, è qui che voglio vivere», dissi. E quando lei stupita mi chiese perché, risposi con la sola cosa che sentivo profondamente vera: «perché qui c’è una luce che… Perché penso che qui non sarò mai infelice».

Infatti è a Savona che ho acquistato la mia prima casa ed è qui che, dopo tanto girare, mi sono fermata. Per un po’, non so per quanto. Certo la luce è rimasta; la promessa di felicità a volte ha vacillato, com’è normale che sia. Ma infelice, a Savona, io non sono mai stata.

Se ho fatto questa premessa è perché vorrei comunicare soprattutto il fatto che Savona la sento casa mia: sono siciliana ma nello stesso tempo mi sento savonese e con un certo orgoglio lessi che qualche giornalista frettoloso ma forse dotato di intuito, mi definiva “scrittrice savonese”. Il che per dire che se a volte imputo colpe ai miei concittadini, se dico cose di Savona che non mi piacciono, non è perché non la ami ma, anzi, perché la amo davvero e dunque, come agli amici più cari, non posso perdonarle nulla, perché mi piacerebbe che fosse perfetta.

E piccoli peccati Savona ne ha come ogni altro luogo. Uno però è forse il “peccato originale”, a Savona non sedimenta nulla perché Savona crede poco in se stessa. Una colpa gravissima per chi come me si occupa a vario titolo di cultura che è per eccellenza un ambito nel quale le stratificazioni e le sedimentazioni fanno la differenza tra ciò che vale/resta e ciò che invece si risolve in facile “eventismo” da sagra paesana.

Arrivando qui e venendo da una regione come la Sicilia che ha pochi centri ma mediamente di grosse dimensioni, notai alcuni dati inquietanti: 1) l’offerta di cultura e spettacolo a Savona è sproporzionata rispetto alla domanda; 2) nonostante ciò, molti preferiscono viaggiare per seguire musica e teatro; 3) la cultura, in linea generale, è appannaggio soprattutto di un pubblico di età medio-alta.

Naturalmente non si tratta di affermazioni assolute, vorrei essere chiara, e non dico nemmeno che chi di cultura si occupa non cerchi di intervenire in questo senso ma, come si usa dire, è un trend che non credo giovi alla crescita culturale del territorio.

A Savona l’ampiezza dell’offerta, invece di rendere il pubblico più vitale lo àncora all’abitudine. Così, frequentare il Chiabrera o il Priamar in estate è qualcosa che ha più a che fare col “doverci essere” che con un reale bisogno di approvvigionarsi di strumenti culturali. Savona, oltre a tutta una serie di iniziative minori di enorme importanza e che non citerò per evitare di dimenticarne qualcuno e oltre a un numero altissimo di associazioni culturali che spesso purtroppo si risolvono in comunità dal vago sapore dopolavoristico, ha un teatro di tradizione, un’associazione musicale che concretizza il suo impegno attraverso spettacoli musicali cameristici e sinfonici, una scuola di musica, un centro culturale in cui convergono cinema, musica e teatro. Il pubblico savonese però è fisso sull’abitudine e dunque spesso non sceglie, adagiandosi sulla proposta in maniera acritica, salvo poi riservarsi di criticare ciò che vede e iscriversi ad associazioni che offrono gite a Genova, a Torino o a Milano o chissà dove per seguire gli spettacoli che, alla fine, credono siano “migliori” di quelli proposti in città. Diciamo che il motto nemo propheta in patria, qui è stato proprio preso alla lettera. In maniera autolesionista, direi.

Nonostante l’importanza di progetti pensati per il coinvolgimento dei giovani, fatta eccezione per quelli rivolti direttamente alle scolaresche (non sempre per altro di successo), gli spettacoli hanno un pubblico pericolosamente bloccato in una fascia di età decisamente matura. Il che è un problema nazionale, è chiaro: ovunque si è innalzata l’età anagrafica degli spettatori ma mentre altrove si cerca di conquistare nuove fasce di utenza attraverso proposte innovative, qui si preferisce continuare su una linea già rodata con la paura di perdere quel pubblico fidelizzato a fatica. E naturalmente, per mere ragioni anagrafiche, i numeri si assottigliano proprio nel momento il cui la crisi riduce le risorse disponibili.

Posto che nessuno ha in mano la soluzione al problema, io credo che nei momenti di crisi – e quello che il Paese sta attraversando non penso sia sul punto di risolversi – occorra affrontare di petto i problemi e non cullarsi nella possibilità di dare al pubblico ciò che il pubblico si aspetta. Il pubblico va scioccato, sorpreso, allontanato, incuriosito e così riconquistato. Solo in questo modo lo si porta davvero a quella maturazione per la quale la cultura diventa indispensabile.

Non è un processo semplice, non è indolore e non è veloce ma per condurlo occorre cominciare subito: piantare adesso il seme e cominciare proprio scardinando dal savonese l’idea che ciò che si fa qui non ha il medesimo valore di ciò che avviene altrove. Pensare che per fare cultura ci si debba rivolgere a profeti più o meno d’accatto venuti da fuori è, mi scuseranno i miei concittadini, provincialismo. In un mondo il cui ombelico è la multimedialità quale valore ha oggi la corsa al personaggio televisivo, al grosso nome che viene da noi con la sufficienza di chi aggiunge una data alla tournée pensando che certo non sarà la madre di tutte le date? E ancora: per esportare il nome di Savona in Italia, a cosa serve avere qui la star che di date, nella stessa stagione, ne fa altre cento? Nessun giornale nazionale presta attenzione a una replica uguale a mille altre. Ma se Savona credesse in se stessa e se i miei concittadini sentissero l’orgoglio di dire io sono Savonese perché a Savona si fa questa cosa e questa cosa non si fa in nessun altro posto del mondo, se vuoi te la vendiamo, oppure vieni qui a vederla perché noi non siamo gli spettatori ma siamo quelli che lo spettacolo lo fanno, beh, se così fosse il mio di orgoglio cittadino crescerebbe tanto che essere parte di questo cambiamento per me sarebbe esaltante quanto vitale.

Savona è piena di talenti, ha giovani che hanno idee, ha progetti, ha voglia di fare. Per favore, proviamo insieme a credere in tutto questo per far nascere qui qualcosa di unico. Perché noi non possiamo accontentarci di essere una Genova o una Torino in sedicesimo, perché non lo saremo mai. Dunque, possiamo solo aspirare ad essere noi ma unici ed irripetibili.

So bene che il mio è un discorso “antipolitico”, perché la politica ha la necessità di “accontentare tutti” per non perdere il sostegno. Ma oggi questa non può più essere la via: ciò in cui abbiamo creduto è stato spazzato via dalla crisi. Noi siamo quelli del dopo. E le ricostruzioni sono sempre molto faticose.


Scritto da: Emanuela E.Abbadessa, scrittrice

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