i cento anni di Giuseppe Crosa

1 marzo 2014
blog

i cento anni di Giuseppe Crosa

Il primo marzo abbiamo festeggiato alla Familiare di via Scarpa i cento anni di Giuseppe Crosa, un compagno, un amico, ma soprattutto un grande uomo che ha affrontato momenti difficili nella vita senza mai scoraggiarsi. A partire dalla deportazione nei campi di lavoro, in Germania, tornando a casa soltanto nel ’45, dopo la Liberazione, con un bagaglio di dolore e di fatica difficili da dimenticare.Poi il lungo lavoro in fabbrica , all’Italiana Coke , come operaio specializzato addetto alla manutenzione . Un suo compagno di lavoro , più giovane di Lui mi ha raccontato di come il tornio di Crosa fosse sempre il migliore e la sua postazione di lavoro quella più pulita .
Con i parenti e i tanti compagni che sono intervenuti alla bicchierata, ho voluto ricordare i momenti di allegria che ci hanno unito.

Soprattutto alle Feste de l’Unità, dove Crosa, dopo la pensione, ha lavorato per molti anni in modo solerte e con tanta passione.

All’epoca io e tanti altri giovani, un po’ scapestrati e assolutamente incapaci , davamo una mano risultando sempre approssimativi e facendoci tirare le orecchie dal compagno Crosa che ci avrebbe tenuti volentieri un po’ più lontani dai suoi laboratori.
E mi porto ancora nel cuore i suoi moniti, al tempo non proprio sussurrati. Ti ricordi, Crosa, quando entravamo di soppiatto nei magazzini, al Prolungamento, nei giorni di allestimento della Festa, per portarti via martello, pinze e tutti gli attrezzi necessari? Una volta ci avevi fermato e, sospirando per non gridare, ci avevi detto in dialetto: “Quando si va a lavorare si portano gli attrezzi!”.
Me ne sono ricordato, anche negli anni successivi , anche “da grande”. Era il Tuo modo di insegnarci che se non volevi essere uno di una massa indistinta dovevi essere capace di diventare autonomo , di gestire da solo la tua “produzione” .
E quando cercavamo di montare gli stand e le strutture della Festa, con grande e inutile fatica e senza arrivare al risultato , arrivavi Tu , ci dicevi “oua vè mustru” , ora vi insegno e facevi da solo il lavoro che noi in dieci non eravamo stati capaci di fare. Il risultato era sempre impeccabile, da operaio specializzato quale eri. Anche in quel caso come dimenticare il tuo monito, rigorosamente in savonese: “ pè travaggiò ù ghe vò ù cervellu “ .Per lavorare ci vuole la testa, il cervello ci dicevi . Ci insegnavi che un lavoro non basta mettersi a farlo , ma che bisogna pensarlo , prevederlo , non fare fatica quando si può evitare .
Infine, non c’era verso che prendessimo una misura giusta e avevamo tagliato maldestramente le pannellature per l’allestimento di una mostra. Anche in questo caso non eravamo stati precisi e il tuo giudizio era stato impietoso: “Per lavorare ci vuole precisione !”, ci avevi urlato, innervosito dai risultati che ti avevamo sottoposto.
Credimi, con tanto affetto ho sempre ripensato alle tue parole. Facendone tesoro, nel tempo.
Grazie, Crosa, e auguri per i tuoi cento anni.